


E’ possibile affermare con certezza che lo Champagne sia il miglior spumante al mondo? Dal momento che un giudizio del genere dipende molto dai gusti personali, sarebbe opportuno non generalizzare. Ciò che appare innegabile, è la grande fama di cui gode: una fama maturata nel corso dei secoli, grazie alla quale è entrato nella leggenda. Proprio per questo motivo, le sue bollicine sono scelte da sempre per celebrare gli eventi più importanti. Come spesso accade quando la percezione di un prodotto viene migliorata ulteriormente da un forte attaccamento psicologico, difficilmente in futuro un concorrente potrà godere di altrettanta notorietà: valide alternative indubbiamente non mancano. Per il momento, ciò che importa davvero è capire cosa renda lo Champagne un mito e da quali fattori dipenda una così grande qualità. A tale scopo è necessario conoscere la sua storia, i luoghi in cui crescono le sue uve e tutti quegli elementi che ne fanno un vino tanto unico ed inimitabile. Grazie a queste conoscenze sarà possibile apprezzarlo ancora di più: assaggiandolo si potranno persino scoprire nuovi gusti e profumi.


Doppia fermentazione per lo Champagne.

Per poter comprendere appieno quanto riportato nei paragrafi seguenti, occorre ricordare che il succo d’uva diventa vino grazie all’azione dei lieviti, i quali metabolizzano lo zucchero trasformandolo in alcol e anidride carbonica. Questo fenomeno naturale prende il nome di ‘fermentazione’ e viene in genere fatto partire subito dopo la vendemmia.
Una volta, mancando i mezzi per regolare la temperatura degli ambienti, il freddo intenso di una stagione autunnale molto rigida poteva avere l’effetto di sospendere l’opera di questi microrganismi, facendoli entrare in una sorta di letargo. In primavera, a causa del naturale aumento del calore, capitava spesso che essi si riattivassero, dando il via a una vera e propria seconda fermentazione, la cosiddetta ‘rifermentazione’.
Oggigiorno tale processo, lungi dall’essere accidentale, viene innescato volutamente grazie l’aggiunta di lieviti al vino. A tal proposito è importante ricordare che
la produzione di anidride carbonica dovuta alla seconda fermentazione è il fattore di maggiore importanza nel metodo di spumantizzazione naturale (*1).
Nota:
*1: L’anidride carbonica può essere aggiunta anche artificialmente, va comunque sottolineato che gli spumanti ‘gassificati’, in genere, sono caratterizzati da un gusto e un ‘perlage’ poco fini.

Il ‘vino del diavolo’.

La rinnovata produzione di anidride carbonica dovuta alla seconda fermentazione, se avviene all’interno di una bottiglia o di qualsiasi recipiente chiuso ermeticamente, sviluppa un aumento della pressione. Fino al XVII secolo, mancando specifiche conoscenze e tecnologie, ciò rappresentava un grosso problema in quanto, nel migliore dei casi, portava a una improvvisa, violenta espulsione dei tappi, se non addirittura a pericolose esplosioni. Si può dunque capire che questo fenomeno non venisse considerato un metodo per elaborare il vino, ma piuttosto una iattura, un ‘accidente mandato dal diavolo’.
Non sorprende quindi che lo ‘spumante’ fosse soprannominato ‘le vin du diable’ (‘il vino del diavolo’), proprio a causa della sua imprevedibilità.
Il vero problema, lungi dall’essere sovrannaturale, era in realtà legato all’imperizia nel controllare la rifermentazione e all’inadeguatezza delle bottiglie e dei tappi, per nulla adatti a resistere a forti sollecitazioni. Fatto sta che questo inconveniente in alcuni casi portava alla perdita dell’intera produzione, oltre a costringere gli addetti alla cantina a indossare maschere e imbottiture pur di non farsi male.

Dom Perignon e la storia dello Champagne.

Come spesso accade quando si ha a che fare con personaggi entrati nel mito, le notizie riguardanti Dom Perignon a volte possono non coincidere del tutto con la realtà dei fatti. Basti pensare che, tra le varie ipotesi avanzate, alcuni hanno suggerito che egli fosse un alchimista, cosa a dire il vero assai poco probabile. Nonostante l’evidente mancanza di fonti attendibili, si può comunque delineare, con un certo grado di approssimazione, la figura e la storia di colui che, ancora oggi, è da molti considerato il padre dello Champagne.
L’incarico a Hautvillers
Nel 1668 il giovane monaco benedettino Pierre Perignon fu trasferito presso l’abbazia di Hautvillers, nel nord est della Francia. Tra i vari compiti che gli furono assegnati c’era quello di amministrare le vigne e la cantina della proprietà benedettina. Questa mansione probabilmente non gli fu affidata a caso, egli poteva infatti già vantare una lunga esperienza in materia dal momento che i suoi parenti erano produttori di vino e che lui, fin da bambino, aveva lavorato tra i filari di famiglia. Questa preziosa esperienza gli permise di svolgere il suo incarico con un ‘discreto’ successo.
Dom Perignon e la rifermentazione
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare considerando con chi si ha a che fare, recenti studi indicano che Dom Perignon, all’inizio della sua attività presso l’abbazia, si impegnò strenuamente per impedire, piuttosto che favorire, l’inizio della seconda fermentazione, così da evitarne i pericolosi inconvenienti. Un compito che pare gli fu assegnato dall’abate stesso, preoccupato per le esplosioni che mettevano a rischio l’incolumità delle sue bottiglie e dei monaci addetti alla cantina. Tali ricerche, oltre a dargli modo di bloccare il fenomeno, gli permisero in seguito di controllarlo, padroneggiandone i segreti. Grazie a queste conoscenze diventò un grandissimo esperto di spumantizzazione del vino tramite rifermentazione in bottiglia, procedura conosciuta anche come ‘metodo champenoise’ o ‘metodo classico’. Va comunque ricordato che la sua opera venne notevolmente facilitata dall’invenzione di bottiglie maggiormente resistenti e dall’uso di tappi in sughero.
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Dom Perignon e la cuvèe dello Champagne
Messi da parte i falsi miti, si può affermare con una certa sicurezza che il vero talento di Dom Perignon consistesse nella sua innata capacità di riconoscere e capire le caratteristiche e la qualità delle diverse uve. Fu proprio questa sensibilità a permettergli di sperimentare e selezionare le grandi cuvée (*1) che hanno reso lo Champagne famoso in tutto il mondo. Va da sè che, in un certo senso, egli sia effettivamente il padre di questo vino. La sua figura viene ancora oggi celebrata: la famosa azienda Moet et Chandon di Epernay ha dato il suo nome a uno dei propri spumanti di maggiore fama.
Nota:
*1: Il termine francese ‘cuvèe’ ha diversi significati. In relazione allo Champagne indica una particolare miscela di vini destinati al processo di spumantizzazione.

Il contributo inglese allo Champagne.
E’ sorprendente scoprire quanto antico sia il rapporto tra gli Inglesi e lo Champagne e quanto fondamentale sia stato il loro contributo nell’evoluzione di questo vino. Due personaggi vissuti tra il XVI e il XVII secolo furono particolarmente importanti in tal senso:


Cristopher Merret (1614 – 1695)
Nel 1662 lo scienziato inglese Cristopher Merret presentò alla Royal Society il trattato ‘Some Observations concerning the Ordering of Wines’, in cui per primo indicò il rapporto tra l’aggiunta di zucchero e l’avvio della seconda fermentazione. In sostanza egli teorizzò i fondamenti del ‘metodo champenoise’ diversi anni prima del lavoro di Dom Perignon.


Sir Robert Mansell (1573–1656)
Si deve a Sir Robert Mansell, Ammiraglio della Royal Navy e membro del parlamento inglese, la produzione su larga scala delle prime bottiglie in grado di sopportare la pressione dello Champagne. Il loro segreto risiedeva nella qualità del vetro, reso resistente dal calore dei forni a carbone, molto più performanti di quelli tradizionali che impiegavano la legna.


Champagne la regione e le uve.

Lo Champagne prende il suo nome dalla regione nel nord est della Francia in cui viene prodotto: un luogo incantevole, i cui dolci pendii ospitano gli ordinati filari che tanto ne caratterizzano il paesaggio. Vino e territorio formano un legame indissolubile: non è dunque un caso che uno Champagne, per poter essere definito tale, debba essere necessariamente prodotto in questa zona. Intendiamoci, non si tratta di una semplice formalità: la particolare natura dei terreni, la loro esposizione ed il clima locale (fattori del cosiddetto ‘terroir’), sono tutti elementi di fondamentale importanza che concorrono nel conferire alle uve le caratteristiche necessarie a realizzare uno spumante tanto speciale.
Diamo quindi una veloce occhiata alle zone di produzione più vaste e famose, approfondendo brevemente le caratteristiche di ciascuna di esse:


Montagne de Reims
‘Dolci pendii’ si è detto, senza peraltro sbagliare: questa zona infatti della ‘montagna’ porta solo il nome, essendo caratterizzata in gran parte da colline che non superano i trecento metri di altezza. Sui loro versanti si coltiva un pinot noir (pinot nero) di grande qualità.
Vallée de la Marne
Situata ai piedi della ‘Montagne’, la Vallée è senza dubbio la più vasta area di produzione d’uva nella regione. Il suolo è misto: si passa infatti da quello gessoso, al calcareo fino all’argilloso. Il vitigno più coltivato in questa zona è il pinot meunier.
Cote des Blancs
Il nome di questa zona è legato alla grande qualità delle sue uve a bacca bianca. Su tutte lo chardonnay, parte fondamentale di una grande cuvée.
Cote de Sézanne
Situata a sud della Cote des Blancs, la Cote de Sezanne si distingue per la produzione di pinot noir.
Aube
La zona, conosciuta anche come Cote de Bar, si trova poco più a sud dello splendido paese di Troyes. Qui un suolo prevalentemente calcareo-marnoso dà vita a ottimi pinot noir e chardonnay.

Il terreno dello Champagne.

Cosa rende speciale lo Champagne, facendo sì che il suo gusto e profumo siano tanto unici? Premesso che numerosi fattori contribuiscono alla qualità delle sue uve, tra essi la natura del terreno ha sicuramente un ruolo di fondamentale importanza. Un suolo ciottoloso, di colore biancastro, all’apparenza poco adatto alla crescita di una pianta … ma la vite non è una pianta qualsiasi: infatti è proprio in condizioni difficili che si esprime al meglio. Le radici negli anni scavano sempre più a fondo acquisendo quei caratteri di cui le uve si arricchiscono. Su tutti, la grande mineralità: lo Champagne è espressione di un terreno ricco di gesso, le cui caratteristiche gusto-olfattive si sentono in modo netto fin dal primo assaggio, diventando elemento distintivo di questo grande prodotto.

Come si produce lo Champagne?
Il cosiddetto ‘metodo champenoise’, conosciuto anche come ‘metodo classico’, è una delle procedure impiegate per trasformare il vino in spumante:
a una miscela di vini, la cosiddetta ‘cuvèe’, sono aggiunti zucchero e lieviti, così da innescare una seconda fermentazione. Questa avviene all’interno di bottiglie chiuse ermeticamente affinchè il vino incorpori l’anidride carbonica prodotta, diventando così uno spumante.
Di seguito alcune immagini illustrano passo dopo passo le varie fasi del procedimento (per visualizzare un’infografica stampabile cliccare qui):

Le uve impiegate per produrre lo Champagne sono esclusivamente chardonnay, pinot nero (pinot noir) e pinot meunier. Nei cosiddetti ‘blanc de blancs’ si utilizza solo chardonnay, nei ‘blanc de noirs’, pinot nero e meunier.

Le uve sono pressate delicatamente. Il mosto che si ottiene è pronto per la fermentazione: vengono quindi aggiunti lieviti selezionati che trasformano lo zucchero in alcol. Grazie ad essi il succo d’uva diventa vino.

A questo punto gli ingredienti principali sono pronti.
Ognuno di questi ‘vini-base’ (chardonnay, pinot noir and pinot meunier), aggiungerà qualcosa allo Champagne.

La ‘cuvée’ è una miscela dei tre vini: questi variano nelle proporzioni a seconda del risultato che si intende ottenere. Eccezioni: il ‘blanc de blancs’ (fatto con solo chardonnay) e il ‘blanc de noirs’ (solo pinot nero e meunier).

Zucchero, lieviti selezionati e minerali sono gli ingredienti del cosiddetto ‘liqueur de tirage’: una miscela che viene aggiunta alla cuvée per far sì che la seconda fermentazione abbia inizio.

La cosiddetta ‘bidule’ viene inserita nel collo della bottiglia: si tratta di un cilindro di plastica destinato a raccogliere il residio dei lieviti morti, ‘le fecce’. La bottiglia viene quindi chiusa ermeticamente impiegando un tappo a corona.

Le bottiglie sono conservate per un paio di mesi in posizione orizzontare in fresche cantine (10/12 gradi): ciò garantisce una perfetta presa di spuma (‘prise de mousse’). Segue un lungo periodo di riposo, durante il quale il gusto del vino è migliorato dal residuo dei lieviti (‘sur lattes’). Piccole rotazioni (‘coup de poignée’) evitano che questo si compatti.

Dopo un periodo che può variare da un minimo di due fino a più di dieci anni, si procede al cosiddetto ‘remuage’: le bottiglie sono fatte progressivamente ruotare, così che il residuo dei lieviti si raccolga all’interno della bidule. Questa operazione può essere effettuata a mano (sulla ‘pupitre’) o meccanicamente.

La ‘sboccatura’ (‘disgorgement’) consiste nella stappatura della bottiglia. Prima di sganciare il tappo a corona, il collo è immerso in un liquido alla temperatura di -25 gradi circa. Le fecce contenute all’interno della bidule ghiacciano e vengono quindi espulse insieme ad essa grazie alla pressione interna.

La fase del ‘dosage’ prevede il rabbocco della bottiglia: viene aggiunto il cosiddetto ‘liqueur d’expedition’. Questo può essere composto, oltre che da spumante, da zucchero e da una piccola dose di liquore.

La bottiglia è sigillata ermeticamente con un tappo di sughero, assicurato al collo grazie a una gabbietta metallica, conosciuta come ‘muselet’.

La tappatura dello Champagne.

Tappi in sughero per lo Champagne:
Originariamente le bottiglie di vino venivano chiuse con primitivi tappi di legno, racchiusi in un involucro di stoffa e cera. Sebbene molti sostengono che l’uso dei tappi di sughero si debba a Dom Perignon, pare che in realtà questo materiale fosse già in uso nell’antica Roma e che tale conoscenza andò persa in seguito alla caduta dell’impero.
Un ‘muselet’ per assicurare il tappo:
Per assicurare i tappi di sughero al collo delle bottiglie di Champagne, Dom Perignon era solito utilizzare della corda di canapa: un compito che richiedeva grande forza e perizia. Con il tempo si preferì impiegare il filo di ferro, in quanto considerato più resistente. Occorrerà attendere la metà del XIX secolo per assistere alla nascita delle prime gabbiette metalliche preformate (in francese, ‘muselet’).

Le bottiglie dello Champagne.
Le dimensioni delle bottiglie di Champagne possono variare da quella ‘standard’ (*1), che contiene meno di un litro di vino, fino alla ‘Melchizedek’ che ne contiene ben 30.
Se ne riporta di seguito l’elenco:
- Bottiglia ‘standard’: 75 cl;
- Magnum: 1.5 litri (2 bottiglie di Champagne);
- Jeroboam: 3 litri (4 bottiglie di Champagne);
- Rehoboam: 4.5 litri (6 bottiglie di Champagne);
- Methuselah: 6 litri (8 bottiglie di Champagne);
- Salmanazar: 9 litri (12 bottiglie di Champagne);
- Balthazar: 12 litres (16 bottles of Champagne);
- Nebuchadnezzar: 15 litres (20 bottles of Champagne);
- Solomon: 18 litres (24 bottles of Champagne);
- Sovereign: 26.25 litres (35 bottles of Champagne);
- Primat: 27 litres (36 bottles of Champagne);
- Melchizedek: 30 litres (40 bottles of Champagne);
Come è facile immaginare le bottiglie di grandi dimensioni, generalmente utilizzate per festeggiare eventi, sono pressocchè impossibili da maneggiare (*2). Sono stati quindi ideati appositi sistemi per inclinarle progressivamente, permettendo di versare correttamente il vino.
Note:
*1: In realtà esistono formati più piccoli, da un quarto e mezzo litro, che però ben difficilmente si trovano in commercio.
*2: La scarsa manegevolezza deriva non solo dal volume ma anche dal peso. Occorre infatti ricordare che su quest’ultimo incide non solo il vino, ma anche il vetro che, per forza di cose, deve essere molto spesso, in modo da resistere alla forte pressione interna della bottiglia.

La zona dello Champagne.
Lo Champagne prende il suo nome dalla regione nel nord est della Francia in cui viene prodotto: un luogo incantevole, i cui dolci pendii ospitano gli ordinati filari che tanto ne caratterizzano il paesaggio. Le principali città di questa zona sono Troyes, Épernay e Reims

Come si produce lo Champagne? – Infografica stampabile.
Cliccare qui per visualizzare (ed eventualmente scaricare) un’infografica stampabile contenente i vari passaggi del metodo di produzione dello Champagne.

L’uva per lo Champagne.
Per poter comprendere appieno un vino occorre conoscere le caratteristiche delle uve con le quali viene prodotto:
Chardonnay;
Tipologia: uva a bacca bianca.
Zona: Soprattutto Cote des Blancs.
Aromi: Note floreali, fruttate (pesca, frutti esotici, limone), minerali.
Lo chardonnay conferisce allo Champagne raffinatezza ed eleganza.
Pinot Noir;
Tipologia: uva a bacca rossa.
Zona: Soprattutto Montagne de Reims, Cote des Bar.
Aromi: Note fruttate (frutta a bacca rossa).
Il pinot nero conferisce allo Champagne corpo, struttura e potenza.
Pinot Meunier;
Tipologia: uva a bacca rossa.
Zona: Soprattutto Valèe de la Marne.
Aromi: Note fruttate (frutti rossi come ribes e ciliegia).
Il pinot meunier conferisce allo Champagne rotondità e morbidezza.

Il bicchiere per lo Champagne.
Nel corso degli anni si è sviluppato un discreto dibattito su quale possa essere il bicchiere più adatto per lo Champagne.
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Musica e Champagne.
Una divertente canzone dedicata allo Champagne per probabilmente la scelta ideale per accompagnare la lettura di questo articolo:
Nota: registrarsi a Spotify così da poter ascoltare i brani per intero.

Lo zucchero nello Champagne.
Il ‘tenore zuccherino’ di uno Champagne, o di qualsiasi altro vino spumante, esprime la quantità di zucchero in esso presente.
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- Meno di 3gr./litro: Brut nature;
- Tra 0 e 6gr./litro: Extra brut;
- Tra 6 e 12gr./litro: Brut;
- Tra 12 e 17gr./litro: Extra dry;
- Tra 17 e 32gr./litro: Dry;
- Tra 32 e 50gr./litro: Demi-sec;
- Più di 50gr./litro: Dolce;

SOLO LE SPECIALITA’ PIU’ TIPICHE E TRADIZIONALI

Champagne: le calorie.
Una bottiglia di Champagne contiene circa 540 / 570 calorie.

“I GET NO KICK FROM Champagne”
(Frank Sinatra)

La coppa ed il seno della marchesa.
Sebbene il ‘flute’ sia largamente considerato il calice più adatto allo Champagne, in quanto permette di apprezzarne al meglio il fine perlage, questo spumante è spesso servito nella ‘coppa’. Leggenda vuole che la forma del bicchiere sia stata ispirata dal seno di Madame de Pompadur, la bellissima amante di re Luigi XV di Francia, il famoso ‘Re Sole’.

Champagne su tela.
Il quadro ‘Le Déjeuner d’huîtres’, realizzato dall’artista francese Jean-François de Troy nel 1735, racchiude una curiosità molto interessante in merito allo Champagne. Si tratta infatti del primo dipinto in cui vengono rappresentate alcune bottiglie di questo spumante. Guarda caso, il contesto raffigurato è un brindisi nel corso di una festa di nobili signori (Maggiori informazioni qui: Wikipedia Link).

Il metodo ‘Martinotti’ o ‘Charmat’.
Il cosiddetto metodo ‘Martinotti’, anche conosciuto come ‘Charmat’, differisce da quello ‘classico’ nel prevedere che la seconda fermentazione del vino avvenga in un’apposita vasca d’acciaio, anzicchè in bottiglia. Lo spumante viene travasato in un secondo momento. Va sottolineato che questa tecnica non può essere utilizzata per produrre lo Champagne.

Il ‘remuage’ sulla ‘pupitre’.
Come già spiegato in uno dei precedenti paragrafi, una volta che lo Champagne è considerato pronto, inizia la fase del ‘remuage’.
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Champagne francese e cibo.
Lo Champagne si può abbinare a numerose tipologie di cibo.
Ad esempio, ben si presta ad accompagnare una preparazione a base di gamberi:
L’acidità e la sapidità bilanciano la tendenza dolce di questi crostacei.
Un altro buon abbinamento può essere quello con il Parmigiano Reggiano:
L’acidità bilancia la tendenza dolce del formaggio.
L’effervescenza e la sapidità ne bilanciano la grassezza.

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img-05 (*) – Cristopher Merret, artista sconosciuto (Wikipedia Link) {PD-US}
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img-07 (**) – Lieviti Saccharomyces Cerevisiae, immagine di Masur (Wikipedia Link)
img-08 (*) – Grape-Shot, Lordprice Collection, 1915 (Wikipedia Link) {PD-US}

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(**) Immagine dichiarata di pubblico dominio dall’autore.